sabato 24 settembre 2011

LE GRANDI RICCHEZZE DEI PICCOLI COMUNI

LE GRANDI RICCHEZZE DEI PICCOLI COMUNI di Gerardo Troncone presidente dell'Archeoclub di Avellino. Uno dei volti più belli dell'Italia è costituito dai suoi innumerevoli tesori d'arte e di storia. Negli ultimi anni, i trenta più grandi musei hanno avuto circa 25 milioni di visitatori (con il 50% concentrato nei sei più importanti, Musei Vaticani e Uffizi in testa), le località d'arte sono state fra le mete più ambite, visitate da oltre la metà degli stranieri arrivati in Italia, il turismo e l'industria della cultura costituiscono una voce significativa del Prodotto interno lordo nazionale, con un fatturato di circa 70 miliardi, pari a circa il 5%. Tutto ciò malgrado un'azione politica nel settore a dir poco dissennata e dagli esiti paradossali. Basti citare l'ultimo rapporto della Corte dei Conti al ministero per i Beni Culturali, dove si legge che l'archeologia potrebbe “essere il primo volano del turismo culturale in Italia, con tutte le implicazioni sul piano scientifico ed economico” e dove si rileva il dato a dir poco inquietante, che da una parte i fondi a disposizione del ministero sono scesi in dieci anni dallo 0,41% allo 0,25% del Pil, mentre dall'altra il 55% delle risorse disponibili nel 2010 (in tutto circa 550 milioni di euro) non è stata spesa, cioè è rimasta nel cassetto del ministero. Non è certo per caso che l'Italia in quarant'anni è passata dal primo al quinto posto delle mete turistiche globali (Sergio Rizzo, “Corriere della Sera” del 23 maggio 2011). Per consolarsi, spesso ci si riempie la bocca col dire che l'Italia possiede il 70% dell'intero patrimonio mondiale, il che non corrisponde affatto al vero, se si pensa agli immensi tesori ancora sepolti, ad esempio, in Cina o in Africa. Il vero primato dell'Italia è costituito non tanto dalla quantità dei beni culturali che possediamo, quanto delle caratteristiche di tale patrimonio. In effetti, contrariamente a quanto avviene in quasi tutti gli altri Paesi del Mondo, il nostro patrimonio è diffuso nell'intero territorio nazionale ed è nello stesso tempo quasi ovunque stratificato nei millenni. Le bellezze artistiche e paesaggistiche sono disseminate dalle Alpi alla Sicilia, ed esprimono una storia che possiamo leggere attraverso molteplici stratificazioni, che vanno dal Paleolitico alla Magna Grecia, dal periodo romano alla Cristianità, dal Medioevo al Rinascimento all'Età Moderna. Il territorio italiano, storicamente policentrico, offre nel suo insieme l'idea di un grande museo diffuso, con i suoi oltre duemila siti archeologici, le decine di migliaia di chiese, castelli, fortificazioni, giardini, dimore storiche. Non necessariamente poi questo tesoro lo si deve ammirare nel chiuso dei grandi musei. Esso non ha confini: lo si può godere anche solo passeggiando per strada, standosene seduti su una panchina all'ombra di un tiglio, entrando in una piccola cappella a pregare. Innumerevoli sono i tesori d'arte custoditi in luoghi sconosciuti ai più e ancor oggi l'etichetta di minore grava su una parte vastissima del nostro patrimonio, che spesso è visto come un peso e non come un'irrinunciabile occasione di uno sviluppo, in grado oltretutto di dare lavoro a centinaia di migliaia di giovani, specialmente nel Mezzogiorno. Nell'ambito di questo vasto e ancora inesplorato patrimonio culturale minore non va dimenticato che dei circa ottomila Comuni italiani oltre mille possiedono centri storici di altissimo pregio: sono questi piccoli borghi che, se adeguatamente valorizzati, ben potrebbero diventare musei di se stessi, e dove lo stesso edificio museale tradizionale potrebbe non essere più necessario, bastando anche un polo di gestione del sistema. La manovra economica in atto, figlia di una maggioranza arrogante e di un'opposizione distratta, prevede una non meglio precisata soppressione proprio dei piccoli Comuni, moltissimi dei quali – in Irpinia tutti – hanno la prerogativa di avere ostinatamente salvato il proprio borgo antico, cuore pulsante della memoria collettiva, luogo dell'anima. Si dimentica ancora una volta che molti piccoli Comuni (quelli irpini in primis) sono rimasti tali anche perchè hanno scelto la strada del vivere a misura d'uomo, del rispetto del territorio, dell'uso moderato e corretto delle risorse disponibili, laddove per diventare grandi (o grossi) altri Comuni hanno imboccato la via dell'espansione selvaggia e indiscriminata, del sacco delle coste e dei paradisi naturali, che è la stessa strada dei periodici e ricorrenti dissesti naturali (frane, alluvioni, terremoti, eccetera). Oggi si propone una norma che non produce quasi nulla in termini economici (si parla dello 0,2 per mille dell'intera manovra, cioè quanto si risparmierebbe con la riduzione di una quindicina di poltrone parlamentari), che fra cavilli interpretativi e furbate varie probabilmente non sarà neanche attuata, e della quale resterà solo il senso amaro della stupidità e dell'ignoranza di chi l'ha voluta. A prescindere da tutto e per concludere, mettiamoci davanti agli occhi uno a caso dei parlamentari campani di oggi (senza scomodare la faccia rubizza del ministro che impazzava a reti unificate con il cravattone verde, la giacca azzurra, i pantaloni arancio e i calzini chissà). Visto che valgono all'incirca la stessa cifra, pensate che sia meglio mantenere la sua poltrona o cento piccoli Comuni? Gerardo Troncone presidente dell'Archeoclub di Avellino (da: Il Mattino - Avellino del 20 settembre 2011)

venerdì 23 settembre 2011

Manuel Castells: Sacrifici umani in nome dei mercati

Il socialista José Luis Rodríguez Zapatero passerà alla storia come il peggior presidente della Spagna democratica. Il suo predecessore, José María Aznar (del partito popolare), almeno aveva una certa coerenza ideologica. La pantomima dell’ultima riforma costituzionale, che prevede l’inserimento della norma del pareggio di bilancio, è stata orchestrata dai due più grandi partiti del paese con il favore della notte e dell’estate e colpisce al cuore la democrazia e l’autonomia dello stato. Una riforma necessaria, così ci dicono, imposta da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy per contrastare la sfiducia dei mercati nei confronti del debito spagnolo. Questa sfiducia avrebbe potuto innescare a sua volta la crisi di altri debiti europei, soprattutto di quello italiano, e affondare l’euro. Riportare a galla la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda è difficile. Salvare la Spagna dalla bancarotta è impossibile sia per le finanze tedesche sia per quelle francesi. Ecco il motivo, dunque, della pressione sul governo spagnolo, che da tempo ha ormai abbandonato qualsiasi velleità di sovranità economica per sottostare alle profezie sul comportamento dei mercati. Un potere supremo e misterioso che dev’essere placato con dei sacrifici umani: i tagli alla spesa sociale colpiscono la sanità, l’istruzione e le pensioni. In altre parole, la vita. Ma chi sono i mercati? Qualcuno di voi conosce personalmente qualche mercato? I mercati sono gli investimenti gestiti dagli intermediari finanziari. Ma cosa vogliono gli investitori e i loro intermediari? L’equilibrio fiscale? Garantire la solvibilità del debito a lungo termine? No. Il vero motore degli investimenti è il guadagno, puro, semplice e a breve termine. È così che funziona il mondo della finanza. È dal guadagno che dipendono i dividendi degli azionisti, ma soprattutto le commissioni e i bonus degli operatori finanziari. I guadagni a breve termine si ottengono in diversi modi, anche scommettendo sull’altalena del valore dei titoli finanziari, compresi i titoli di stato e le valute nazionali. Per alcuni, insomma, la svalutazione del debito sovrano spagnolo e l’aumento degli interessi sui titoli di stato potrebbero essere un buon affare. I grandi guadagni sono possibili proprio grazie alle turbolenze finanziarie. L’apatia economica è la prospettiva più nera per i mercati. È per questo che la Spagna e l’euro potrebbero fallire, non per il debito. In realtà, non si pensa a salvare l’economia spagnola, ma a sfruttare la crisi per legare le mani ai rappresentanti politici dei cittadini nel caso in cui abbiano la tentazione di ascoltare i loro elettori invece dei mercati nell’interpretazione che ne danno Merkel, Sarkozy e tutti quelli che mettono in salvo la pelle politica nei loro paesi a spese degli altri europei. Una dimostrazione della disunione europea. Il punto della questione è che in nome dei mercati si impone una riforma costituzionale senza consultare i cittadini, facendola approvare da una maggioranza parlamentare che potrebbe cambiare nel giro di tre mesi. Di questo passo si delegittima la costituzione, considerata intoccabile in certe situazioni ma manipolata nel giro di pochi giorni quando conviene ai politici in carica. In questo modo non sarebbe mai stato possibile approvare la costituzione del 1978 che, per quanto imperfetta, è riuscita a garantire la coesistenza politica sulla base di un consenso comune e costruttivo, che ora è stato infranto senza un valido motivo. Eppure i cittadini dovrebbero avere la possibilità di dire la loro: anche se scegliessero la cosa sbagliata, è comunque un loro diritto. È inaccettabile che i politici invochino la democrazia come garanzia di legittimità per poi intervenire autonomamente su questioni così importanti sfruttando il parlamento come se il paese fosse di loro proprietà. Pensiamo invece all’Islanda: dopo mesi di mobilitazione sociale, un referendum ha imposto le nuove regolamentazioni finanziarie, l’allontanamento dei politici responsabili del crac e il rifiuto di pagare i debiti delle banche. Da quel giorno, per gli islandesi le cose sono migliorate. Se la crisi della democrazia spagnola, che ha indignato gran parte della popolazione, era già profonda, questa vergognosa riforma costituzionale annienta la credibilità dei politici che l’hanno votata. E, nel frattempo, complica la vita al prossimo candidato premier socialista Alfredo Pérez Rubalcaba, che fino a pochi giorni fa si era dannato per salvare la faccia al suo partito e a tutta la classe politica spagnola cercando di ascoltare le richieste dei cittadini. Se la costituzione la dettano i mercati, allora facciamo comandare i banchieri. Ma se i cittadini contano ancora qualcosa, allora potrebbero rifondare pacificamente la democrazia e ripulire le istituzioni da certi partiti che hanno messo radici in parlamento come se fosse una loro tenuta protetta dal filo spinato, e noi fossimo i loro braccianti. Accampamento contro accampamento. Cinismo politico contro speranze dei cittadini. Spezziamolo questo filo spinato. (Manuel Castells è un sociologo spagnolo Traduzione di Sara Bani. Internazionale, numero 915, 16 settembre 2011)