sabato 5 aprile 2008

Un capitalismo votato alla rapacità

Un capitalismo votato alla rapacità

Immanuel Wallerstein

Non sono io che dico che Wall Street è votata alla rapacità, ma è Stephen Raphael. E, direte voi, chi è Stephen Raphael? E' un ex membro del consiglio di amminisdtrazione di Bear Stearns, la banca crollata lo scorso mese. E dove ha detto questa cosa Raphael? In una intervista al Wall Street Journal , che è in pratica giornale portavoce del mondo finanziario. E quale era il punto di Raphael? Cercava di spiegare (o giustificare?) il crollo della banca. «Quanto successo potrebbe accadere a qualsiasi azienda» ha detto.E certamente questo è vero. Ed è accaduto. Ma mentre tutto questo accadeva, il presidente dell'azienda, Jimmy Caynes, stava tranquillamente partecipando a un torneo di bridge. Una cosa non molto furba per un banchiere rapace. Come risultato, ha perso gran parte della sua fortuna personale, mentre un'altra azienda rapace, la JP Morgan Chase, è piombata come un avvoltoio e ha dato il colpo finale alla banca. Oh, dimenticavo, qualcosa come 14 mila impiegati di Bear Stearns, sono - o lo saranno molto presto - senza lavoro. Viene da chiedersi allora: il capitalismo non è altro che rapacità? No, ci sono altre cose, ma la rapacità gioca un ruolo importante. E la rapacità, per definizione, lavora a favore di alcuni a spese di altri. E così succede che alcune aziende stiano facendo bancarotta, a Wall Street e in altre parti del mondo, ma altre no. Gli Stati Uniti stanno fallendo e altri no. Gli Stati Uniti non amano definirlo proprio così, fallimento, ma è quello che sta accadendo.E' sempre così? No, non sempre. Solo la metà delle volte. Cerchiamo ora di capire come gli Stati Uniti e Wall Street si sono trovati in questa situazione. Tutto ebbe inizio, e in modo positivo, per Wall Street e per gli Stati Uniti nel 1945. La guerra era finita ed era vinta. Gli Usa erano l'unica potenza industriale le cui fabbriche erano uscite intatte dalla guerra. Le città distrutte erano altrove, in Europa e in Asia. Erano pronti a fare bene, e fecero bene, anzi molto bene. Potevano produrre in eccesso e guadagnarci su. Fecero un patto con l'Unione Sovietica, lo chiamiamo retoricamente Yalta: non ci sarebbe stata nessuna guerra nucleare che avrebbe potuto danneggiarlo.A casa venne fatto un'altro patto, quello tra grandi aziende e sindacati che promisero che non ci sarebbero stati scioperi ad interferire con la produzione. Si profilavano anni felici, e le condizioni di vita migliorarono notevolmente. Tutto il dopoguerra fu davvero un periodo ricco per gran parte del mondo. Fu il momento di massima espansione per la produzione, per il profitto, per la popolazione e anche, ebbene sì, per uno primo stato sociale generalizzato nella storia del capitalismo. I francesi lo definirono "Il trentennio glorioso". Tutte le cose buone devono finire? Temo che, almeno ciclicamente, negli ultimi 500 anni della storia moderna, sia accaduto. Quando tutti incominciano ad incassare da una economia in espansione, il tasso di profitto scende. Il profitto determinato dalla produzione, dipende generalmente da un relativo monopolio delle industrie leader. Ma se troppe nazioni incominciano a produrre acciaio o automobili (le aziende guida di tutti i tempi) allora si moltiplica la competizione. E questo, nonostante gli assurdi slogan, non è una buona cosa per i capitalisti, in quanto riduce i profitti. E quando i profitti sono colpiti, il sistema-mondo entra in uno dei suoi ricorrenti periodi di stagnazione. Questo è quanto accadde negli anni 70. E, in caso non l'aveste notato le cose non sono state più rosee da allora. Cosa succede quando l'economia mondiale è in stagnazione? Le aziende incominicano a migrare (come hanno fatto ad esempio Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna e Giappone) in altri paesi (come Sud Corea, India, Brasile, Taiwan) alla ricerca di più bassi costi di produzione. La delocalizzazione è sembrata una buona cosa per le nuove acciaierie e le nuove fabbriche di auto, ma ciò ha anche determinato licenziamenti nei vecchi centri di produzione. Ma le fabbriche in fuga non sono l'unico problema. Cosa fanno i grandi capitalisti se vogliono fare soldi in tempi di bassi profitti? Incomniciano a spostare i loro denari dalle imprese di produzione alle imprese finanziarie. In pratica incominciano a speculare. E in tempi di speculazioni, la rapacità non ha più limiti. Così ci troviamo con i titoli spazzatura, scalate ostili, mutui ( subprime ) e hedge funds e altre curiose cose con curiosi nomi. Sembrerebbe che anche Robert Rubin, uno di quelli veramente grossi nel mondo finanziario, abbia ammesso recentemente che non sappia nemmeno lui il vero significato di " liquidity put ". La storia implicita, dal 1970 ad oggi, è stata un'altra, quella del debito, un sempre maggiore debito. Le corporations chiedono prestiti, gli individui chiedono prestiti, gli Stati chiedono prestiti. Tutti vivono al disopra delle proprie possibilità, delle proprie entrate. E se tu sei in grado di prendere in prestito (si chiama credito) allora puoi vivere nel lusso. Ma i debiti hanno un piccolo problema: ad un certo punto ci si aspetta che venga restituito. Se questo non avviene c'è una crisi o una bancarotta, oppure se sei una nazione un drammatico calo dei cambi monetari. Questo è quello che chiamiamo una bolla. E sta scoppiando ora. Tutti ne sono spaventati e fanno bene. Quando la bolla scoppia veramente, fa male. Anche se alla fine fa male a tutti, di solito è più dolorosa per alcuni che per altri.Al momento potrebbe rivelarsi più dolorosa per gli Stati Uniti, come nazione e per i suoi capitalisti, ma soprattutto per i suoi cittadini. Sembrerebbe che gli Stati Uniti hanno speso non millioni, ma miliardi di dollari per una guerra in Medio Oriente che stanno perdendo. E sembrerebbe anche che la nazione più ricca del mondo non abbia miliardi di dollari nelle sue cassaforti. Qundi li chiede in prestito. E sembra che il suo credito nel 2008 non sia altrettanto buono come nel 1945 e che i creditori siano restii a gettare soldi in un vaso a perdere. All'apparenza sembrerebbe che gli Stati Uniti stiano andando verso la bancarotta, come la banca Bear Sterns. Saranno comprati dalla Cina, dal Qatar o dalla Norvegia, o da una combinazione di questi, per 2 o 10 dollari ad azione? Cosa accadrà a tutti quei giocattoli costosi, come le migliaia di basi militari in giro per il mondo, le armi e le navi da guerra che gli Usa continuano a comprare? Chi darà da mangiare a tutta quella gente in fila per il pane? Tornate tra un decennio e fatemelo sapere.

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